RECENSIONE “CARA LA PELLE” Ubusettete

Domenica 18 novembre, ore 18.30 Rialto S.Ambrogio – Roma
Da Mantova, Zerobeat Teatro in: “Cara la pelle”
Un’altalena, un pranzo, una canzone di Madonna, la guerra.

Un altalena dondola bagnata da una luce fioca; si alternano luce ed ombra. Il pubblico trattiene il fiato per non far confusione. Luce sul palco, lo spettacolo inizia, gli spettatori respirano.
Tre attrici in scena, in una precisa disposizione caotica di vestiti.
Tutto si fa movimento frenetico, vestizione per definire i personaggi in scena; per partire e ricordare. Due piani di narrazione. Il primo, in cui un’attrice ci confida come andarono le cose, ogni dettaglio, nessuna sbavatura: quel momento è lì, rievocato con estrema precisione. Il secondo, in cui una tavola perfettamente sistemata, accoglie le due attrici che mangiano, con impeccabile pulizia di movimenti e neutralità.
Di nuovo si corre, ci si prepara. Questo altalenante susseguirsi di tempi, spiega perfettamente la condizione di quelle creature: nulla è sicuro, tutto si fa imprevisto, viaggio, fuga, nascondiglio, creazione identitaria per frantumare la precedente. Ciò che all’inizio era solo un coagulo di corpi tremanti in fuga, ora si rende distinzione, incontro di diversità simili, condivisione di una stessa esperienza.
Si rende emblematico, quindi, l’uso dei vestiti e della valigie all’interno del rapporto drammaturgia/mise-en-espace; una linea di scarpe che divide esattamente lo spazio scenico da quello della platea. Si narra così la guerra, la violenza, il campo di concentramento, la sopravvivenza, la fuga ed il partire: “Siamo profughi, persone che esistono solo di passaggio.” La composizione scenica si fa suggestiva sul finire del pezzo: si sale sulle sedie, in uno spazio precario, angusto, di isolamento e costrizione (“Perché siamo in guerra”) ma al centro: tutto si disfa, le valigie a terra, i vestiti per aria, così come le loro vite. Questa durezza, questa forza estrema e necessaria dei personaggi, si addolcisce attraverso la musica, di atmosfere quasi incantate, che si allontanano dall’atrocità effettivamente descritta. E si culmina in un finale bizzarro: un video di cifre; numeri dietro i quali si presenta di nuovo un’umanità appesa ad un filo, di morti e vittime, come i vestiti disposti su due fili che attraversano ora il palco. Valigie vuote e la prorompenza di una canzone di Madonna che rompe il clima creato della canzone precedente, “Petit Chevalier”: “Un bicchiere di Coca-Cola ed un articolo che parla del nuovo fidanzato di Madonna (…); d’altronde siamo in guerra, che disgraziata circostanza”!
Chiara Fallavollita

sabato, 24 novembre 2007
“Ubusettete” periodico di critica e cultura teatrale

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